Omotransfobia come De-umanizzazione

Panico conservatore contro identità rivoluzionaria

Dedicato a Cloe Bianco, Brianna Ghey e a tutte le vittime di omostransfobia Lo scorso sabato 11 Febbraio la polizia inglese ha trovato il corpo esanime di Brianna Ghey, 16 anni, nel parco di Warrington, a Culchet. La causa del decesso, che la polizia conferma, è una serie di coltellate inferte alle spalle, lo prova anche il video che la stessa vittima stava registrando per la piattaforma TikTok, sulla quale aveva raggiunto un discreto successo. I sospettati sarebbero stati identificati solo 3 giorni dopo, in un ragazzo e una ragazza, entrambi coetanei e compagni di scuola della vittima. Il movente? L’odio, il ribrezzo per quello che Brianna rappresentava esistendo. Lei era una ragazza transgender, che da un po’ di tempo aveva iniziato il suo percorso di transizione e raccontava sui social le esperienze e le difficoltà, le discriminazioni, il bullismo che nella società investono un essere umano che non si riconosce nel suo sesso biologico ed è stata ammazzata per questo. L’omotransfobia nella cultura e nel discorso inglese non è una novità, nella maniera più assoluta (com’è presente, seppure con le proprie deviazioni, in quasi tutti i paesi occidentali, senza contare i sistemi legali medio-orientali fondati sulla sharia), lo si vada a notare nelle dichiarazioni di esponenti politici ultra-conservatori, negli stessi giornali che consegnavano la notizia col nome anagrafico di Brianna o più semplicemente al costante civettio TERF dell’autrice J.K. Rowling. Tuttavia, dei tentativi di costruire un progetto progressista di tutela avevano fatto capolino nel panorama politico inglese nel 2003, con la proposta del Gender Recognition Act e in seguito nel 2010 con l’Equality Act. Il primo, in particolare, era stato presentato in risposta ai provvedimenti della Corte Europea dei Diritti Umani e poi approvato con la maggioranza delle camere, offriva la possibilità a soggetti transgender e afflitti da disforia di genere di richiedere un Certificato di Riconoscimento di Genere (GRC) e ogni soggetto che coerentemente ne soddisfaceva i criteri, stabiliti dal Gender Recognition Panel, aveva il diritto di essere riconosciuto dallo stato in (quasi) ogni situazione secondo il genere di riconoscimento, rendendone la violazione una discriminazione di genere (Art.14). Tuttavia i criteri del processo sono sempre stati criticati dalla comunità trans inglese (i polls riferiscono l’80%) per essere fin troppo lenti (richiedendo il passaggio di due anni di vita nel genere riconosciuto) e la diagnosi di disforia di genere, che in sè poteva apparire proibitiva a causa di segnalate inefficienze e onerosità del processo, oltre alla sua intrusività. Nel marzo 2022, si era arrivati infatti a definire e approvare una riforma dello stesso atto (Gender Recognition Reform) nel parlamento scozzese che risolveva la questione dei criteri, inserendo come unica condizione per il rilascio del documento una dichiariazione legale in cui viene specificata la permanenza dell’identificazione del soggetto nel genere di riconoscimento, bypassando la necessità della diagnosi di disforia in nome di un riconoscimento de-medicalizzato e più aderente al diritto all’auto-determinazione. Il parlamento inglese, sotto la linea conservatrice dell’allora presidente Liz Truss, si era preoccupato particolarmente di questa riforma, applicando la sezione 35 dello Scotland Act al fine di impedire che la stessa fosse proposta al “Royal Assent”, procedura che avrebbe permesso la sua applicazione anche in Inghilterra e Galles. La premier si era giustificata sentenziando che “il riconoscimento autonomo non era la priorità per le persone trans”, proponendo piuttosto delle “mimime modifiche amministrative per il processo di ottenimento del documento”, secondo le critiche di associazioni impegnate nelle campagne per i diritti trans come Stonewall o Mermaids. Quest’ultima aveva sottolineato, nell’insieme delle problematiche dell’Atto, la totale mancanza di una rete di supporto per la gioventù trans e testimoniava i benefici di un sistema di auto-affermazione come quello introdotto nel 2015 nell’Irlanda del Nord, che non aveva mai prodotto problemi. Della stessa opinione erano i laburisti, che vedevano in questo provvedimento un “fallimento nel raggiungere una vera uguaglianza e nel costruire una solida salvaguardia contro la giornaliera discriminazione che le persone trans devono sopportare”. Dunque, nonostante sia impossibile non notare la direzione progressista che i governi inglesi hanno seguito negli anni, l’azione politica si è arrestata, timidamente, sul limite dell’accettabile. È impossibile asserire che Brianna non sarebbe morta se quel passo verso l’autodeterminazione fosse stato compiuto, perchè l’odio non si ferma neanche davanti al martelletto di un giudice imparziale -se, direttamente, non lo incarna, come vedremo più avanti-, ma sarebbe stato un segnale forte di accettazione e difesa da parte dello Stato verso tutti gli individui transgender, specialmente quelli ancora non maggiorenni come lei, a cui in un ambiente pubblico come la scuola non è stata dato abbastanza ascolto o protezione. L’autodeterminazione dell’identità è diventata una questione problematica e ideologica, che anima di panico le linee neo-conservatrici, non solo in Inghilterra, ma anche in un paese che già affronta una fortissima polarizzazione culturale come gli Stati Uniti. In uno stato in cui si registrano i numeri tra i più alti dell’Occidente per crimini d’odio omotransfobico (tra gli altri), alcuni legislatori repubblicani stanno progettando un vero e proprio assalto legale alla comunità trans. I provvedimenti ammontano a 125 in 25 diversi stati della federazione (la metà precisa) dal 2020 alla stagione legale del 2023 e prevedono divieti alla cosiddetta “transition care” verso l’età adulta, severe restrizioni ai drag show e performance pubbliche di persone trans e queer, proibizione agli insegnanti di riferirsi ai propri studenti con pronomi diversi da quello del sesso di nascita o addirittura la diretta esclusione dal servizio scolastico per studenti trans. Ancora, l’Oklahoma e il Sud-Carolina hanno reso un crimine fornire trattamenti di transizione ormonale o chirurgica a soggetti di età minore di 26 anni, in Kansas e Mississipi il limite è a 21, in Arkansas e in una dozzina di altri stati invece è la maggiore età, contro il consenso delle più importanti organizzazioni mediche del Paese. Questa sfilza di provvedimenti restrittivi rispondeva ad una precisa e persistente propaganda anti-LGBTQ+, fomentata in nome della difesa della famiglia tradizionale, della cultura cristiana, della pubblica decenza e specialmente, dei bambini, tutte tematiche scottanti usate per conquistare il voto delle masse, avendo il maggior consenso tra i protestanti evangelici più radicali che da sempre si oppongono duramente alla comunità e alle campagne per i diritti di questo tipo, con la compiacenza delle elìte. Una delle argomentazioni più di successo, che rimbalza da testate di giornali a post sui social network americani, vedrebbe nel counseling alla gioventù transgender in realtà uno strumento di “grooming”, adescamento. In questa eccentrica visione la sola accettazione genitoriale del desiderio del bambino/adolescente di manifestare un’identità queer diventa indistinguibile da una forma di abuso sessuale. Non c’è alcuna dimensione auto-cosciente tantomeno decisionale nella mente di un minorenne, di un* figli*, nè se ci fosse dovrebbe essere incoraggiata, secondo l’ideale di famiglia perfetta dei neo-conservatori. Lo stesso riconoscimento dell’esistenza della transessualità come potenzialità (tra le varie che un genitore può aspettarsi nella crescita del proprio figlio) diventa imposizione di un desiderio, piuttosto che un sostegno al percorso indipendente della prole e dei suoi desideri, o ancora, frutto di una “pericolosa” forma di contagio sociale, narrativa che riprende gli stessi principi delle leggi criminalizzanti l’omosessualità nella Francia (e non solo) del 1960, rendendo l’esposizione e l’agire pubblico dei soggetti trans un pericolo ubiquo rispetto al “corretto” sviluppo del bambino. Il punto è proprio questo: questa narrativa vorrebbe restituire il genere ad una funzione puramente funzionalistica, ad una disciplina in mano allo stato, dal quale aut-aut è impossibile divincolarsi, o si è etero, cisgender o si è sbagliati, futili, pericolosi fallimenti. Il bambino trans, pur essendo un fenomeno marginale e pur senza ricevere terapie ormonali o chirurgiche (al contrario di quello che racconta la propaganda sempre dello stesso schieramento, pronta a gridare all’abominio e alla mutilazione), ma già cambiando nome e abbigliamento, rivoluziona questa visione e costringe la società a ripensare il suo ordine a partire dal centro nevralgico della famiglia. Ripensamento che, indubbiamente, suscita panico e tremori tra i sostenitori della cultura “tradizionale”, non solo americana.

Nonostante sia possibile pensare che questa sia una forma mentis che può appartenere solo al fondamentalismo religioso o ad una questione di partigianeria politica, la realtà è purtroppo più amara e capillare, l’omotransfobia appartiene ad una storicamente determinata e secolarizzata ideologia e pragmatica replicante all’interno della società. Non serve per questo nemmeno andare a costruire altri riferimenti comparativi coi sistemi esteri, è sufficiente guardare in patria. In Italia, a causa dell’affossamento del DDL Zan è più complesso reperire informazioni e statistiche sulle aggressioni motivate dall’odio omotransfobico rispetto ad altri paesi, proprio perchè l’Istat deve affidarsi alla normale formattazione legale italiana del reato di aggressione con aggravante d’odio, che non comprende l’omotransfobia. Ci si può affidare solo alle statistiche riguardanti la discriminazione sul posto di lavoro o alla cronaca giornalistica, che sempre più spesso invece riporta notizie di violenza, bullismo e abbandono da parte delle istituzioni. Uno dei casi più sconcertanti è sicuramente quello di Cloe Bianco. Era un’insegnante di fisica in un piccolo paese del Veneto che, dopo aver fatto coming out e aver cominciato il percorso di transizione nel 2015 si era presentata a lezione con un vestito e una gonna. Un genitore aveva segnalato la cosa all’assessora comunale Donazzan, esponente della destra veneta, che con parole indelicate su Facebook si era espressa così sulla vicenda: “Nessuno era al corrente del fatto, i genitori non erano stati avvertiti, i docenti non ne sapevano nulla (forse il preside da quanto mi hanno riferito era al corrente ed ha autorizzato questa carnevalata)”, di un’opinione simile erano alcuni colleghi di Cloe, che ritenevano che il suo abbigliamento non fosse “consono al codice della scuola”, è ancora da capire se ritenessero inadatto l’abbigliamento o chi lo portasse -in ogni caso, queste menzioni al pubblico decoro ricordano tristemente le leggi contro la sodomia dei paesi europei del ‘700-. Il caso aveva raggiunto anche le testate dei giornali locali, che non si sono risparmiati di chiamare Cloe con il suo nome anagrafico e di ridicolizzare la vicenda. La mattina dopo l’evento la docente era stata sospesa dall’insegnamento per tre giorni, per poi essere spostata in un ruolo di segreteria. Da allora le fu impedito l’accesso ad una cattedra, solo per il motivo di essere transgender, contro ogni principio costituzionale. Anche lei raccontava la sua vita e le sue sofferenze sul web, due anni dopo l’accaduto, quando aveva lasciato la città, abbandonato la speranza di riavere la sua passione e aveva cominciato a vivere in una roulotte, scriveva sul suo blog: “Io sono brutta, decisamente brutta, sono una donna transgender. Sono un’offesa al mio genere, un’offesa al genere femminile. Non faccio neppure pietà, neppure questo”. Il 10 Giugno 2022 infine, lontana ormai da amici, parenti, rifiutata dai colleghi e dagli sguardi dei compaesani, sullo stesso blog, annunciava il suo suicidio e raccontava l’estremo dolore che l’aveva portata a prendere questa decisione e, il giorno dopo, si diede fuoco, insieme alla sua abitazione. Anche a causa di questo messaggio, nell’indagine della Procura di Belluno venne negata la presenza di una responsabilità esterna, annullando l’ipotesi di istigazione al suicidio, considerando il suo atto estremo una “libera scelta”. Cloe Bianco è sì morta per sua scelta, ma la sua scelta è stata quella di non rinunciare alla sua libertà e alla sua identità, la morte gliel’ha data il suo ambiente, la discriminazione, la disumanizzazione, il pregiudizio. Come comunità civile, non possiamo più permetterci che l’odio e il disprezzo abbiano ruolo nella convivenza prima nel nostro paese e poi nel mondo. È di fondamentale importanza allora scendere in campo e sostenere una battaglia politica, per i morti e per chi ancora soffre, per pensare in modo rivoluzionario, per creare finalmente una nuova società umana libera, democratica, inclusiva e che consenta ad ogni individuo di esprimere la propria essenza senza catene ideologiche e senza pregiudizi, senza più paura e senza più vittime che, nonostante la propaganda, gli insabbiamenti, i disinteressi, verranno sempre ricordate.

LINK UTILI

Brianna Ghey: uccisa in un parco perché Transgender

ttps://www.theguardian.com/society/2020/sep/22/uk-government-drops-gender-self-identification-plan-for-trans-people

https://www.hrc.org/press-releases/human-rights-campaign-condemns-tennessee-senate-for-passing-gender-affirming-care-ban

https://www.pbs.org/newshour/politics/why-is-the-gop-escalating-attacks-on-trans-rights-experts-say-the-goal-is-to-make-sure-evangelicals-vote

https://tg24.sky.it/cronaca/2022/03/24/lgbt-italia-discriminazioni-istat

https://www.humandignitytrust.org/lgbt-the-law/a-history-of-criminalisation/

La morte di Cloe Bianco è una storia di ordinaria transfobia

Morte di Cloe Bianco, archiviata l’indagine per istigazione al suicidio dell’ex prof trans: “Fu lei a decidere”

Liberamente ispirato a “Gay Liberation Failed” di @homocommunist su Instagram

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