‘’Non uomo o donna ma persone‘’

“Quando una donna grassa, brutta e scema rivestirà un ruolo importante a quel punto ci sarà la parità”.

Afferma questo Ignazio Larussa presidente del senato Italiano in un’intervista su “Belve” un programma che vai in onda su “Rai 2” rete nazionale. Questo è tutto ciò che si riesce a vedere quando si parla di parità, un argomento così fragile declassato con tre aggettivi con lotte che durano anni riassunte in qualche semplice pregiudizio. Nascoste in un sistema che appare saldo e consolidato, si sviluppano enormi divari tra i due sessi che diventano parte di una quotidianità che si cerca di ignorare. Ma se il sistema tace, alcune bocche parlano aprendo gli occhi su realtà in cui siamo abituati a vivere: in Italia la disparità salariale è passata da 110 a 140 euro; mentre il salario medio di una donna si aggira intorno a 1413 euro, quello di un uomo 1553 perché le donne sembrerebbero essere meno competenti. Tre milioni sono le donne che vengono assunte “part-time” solo perché si devono occupare della casa e della famiglia dopo il lavoro. I prodotti legati alla cura del corpo come rasoi, deodoranti, profumi costano di più se rivolti a un pubblico femminile dovuto all’uso maggiore che ne fanno le donne. Piccoli pezzi che messi insieme creano una enorme differenza solo per il fatto di essere uomo o donna, solo per il fatto di appartenere a un genere rispetto che all’altro. Viene quindi dato un nome a questo stato che si perpetua da anni: gender gap. Il gender gap è il divario nella parità di genere, questo viene calcolato ogni anno dal World Economic Forum tenendo in considerazione criteri economici e salariali, di potere politico, di educazione e di salute. È stato stimato che per poter raggiungere la parità di genere in tutto il mondo dobbiamo aspettare altri 132 anni, questo significa che solo nel 2155 donna e uomo potranno essere riconosciuti come pari individui in tutti gli ambiti. Vediamo che dei paesi europei come la Francia e la Spagna si stanno impegnando nella volontà di scardinare quei criteri che hanno regolato i loro paesi per anni, ma diverso è l’atteggiamento dell’Italia che si colloca conseguitamene per due anni di fila nella sessantatreesima posizione su 146 paesi che sono stati monitorati, subito dopo l’Uganda sessantunesima posizione e la Zambia sessantaduesima posizione. Questo dimostra come il passo dell’Italia verso un cambiamento vero e proprio sia ancora lontano, pur essendo l’Italia una grande potenza a livello europeo. Ce lo confermano i fatti che parlano in prima persona: i giornali annunciano la vittoria della coalizione di destra come una grande conquista, la prima donna che ricopre il ruolo di presidente del consiglio. Prima donna che ricopre una delle cariche più importante dello stato italiano che vittima di convinzioni radicate nelle tradizioni più antiche, decide di rinunciare alla propria figura femminile, affermando di voler assumere un carattere al maschile, associando a quel cambio di vocale, a quel cambio di articolo il suono di un maggior forza, di un maggior potere, un suono di maggior rispetto. Si mettono da parte i propri valori in quanto persona associando delle caratteristiche a un genere rispetto che un altro, creando categorie per dividere il normale dalla novità, facendo diventare una divisione ingiusta una realtà accettabile, in questo modo le convinzioni falsate non muoiono nel ricordo di un passato lontano, ma si alimentano diventando le parole e le azioni di molti uomini e molte donne. Si modella nelle menti delle persone un’immagine sbagliata di quel che dovrebbe essere considerato normale, così si arriva a considerare normale che una donna sia licenziata solo perché incinta, a credere giusto che una donna debba faticare il doppio per raggiungere la stessa posizione di lavoro di un uomo, da ritenere lecito che un merito debba essere legato solo al corpo e all’apparenza non alla capacità e alla perseveranza. Ma i pochi si uniscono per portare avanti un nuovo ideale di cambiamento, le loro voci partendo dal basso si uniscono formando un solo grido, smuovendo i confini che delineavano quelle fratture che perpetuatesi per anni alimentano il concetto di un mondo diviso in due grandi ruoli, un uomo e una donna. Si prospetta l’idea di una nuova rivoluzione che annullando le differenze porta tutti su uno stesso piano dove i criteri di giudizio e le scelte di marketing non sono date dall’appartenenza a un genere. Si disegna una nuova realtà concreta fluida e mobile, dove niente è precluso e tutto si può raggiungere. Un immaginario utopico ma necessario a sostituire quelle credenze ormai disallineate dal veloce sviluppo del progresso che avvolge un mondo ancora così vecchio al suo interno. Mi auguro che un forte rumore di un cambiamento così radicale diventi la colonna sonora della vita di ognuno rianimando la speranza di un mondo equo, un mondo in cui non si viene definiti per il proprio genere: uomo o donna ma in quanto persone.

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